Spavento gli uomini. Dato che per lavoro tengo una rubrica in cui parlo prevalentemente di incontri con l’altro sesso, diciamo che sono i rischi del mestiere. Come corollario, gli unici con cui posso uscire sono i temerari che non hanno remore a provarci con me: quelli insomma con l’ufficio più grande, l’ego ipertrofico, e il conto in banca da sceicco. Care amiche, so già cosa starete pensando: in qualche modo bisogna pur compensare, no? E allora? Con la sottoscritta il sesso non è mai una certezza, nemmeno se mi si paga un viaggio a Las Vegas con tanto di posti in prima fila all’Octagon. (Anche se devo ammettere di cavarmela piuttosto bene come spezzatrice di gomiti; tutti questi gaudenti 3.0 non riconoscerebbero una mossa alla Pretty Woman nemmeno se Julia Roberts in persona si mettesse a prenderli a sculacciate).
Ultimamente però nutro un tedio crescente nei confronti di cene gourmet e alberghi di lusso. Quindi ho deciso di provare qualcosa di nuovo: un bravo ragazzo. Il classico uomo comune che non può permettersi una cena alla Gramercy Tavern o all’11 Madison Park (lasciamo perdere un jet privato per Las Vegas) e che di sicuro, alla sola prospettiva di frequentare una donna come la sottoscritta, farebbe i salti di gioia.
Circa un mese fa sono entrata in un localino del Greenwhich Village che di certo non definirei di classe, in cui per esempio un calice di Pinot grigio decente costa la modica cifra di otto dollari. Era circa mezzanotte e io ero seduta al bancone, in attesa di vedere quali creature degli abissi avrebbero abboccato. Care lettrici, dato che come saprete nella mia vita non passa quasi istante senza che io pensi a come allietarvi la giornata, mi ero messa a prendere appunti su un tovagliolo quando all’improvviso, con mia enorme sorpresa, ho visto sbucare dal nulla un ragazzino. Gli avrei dato ventidue, al massimo ventitre anni. Gran begli zigomi (beata gioventù!) e pessimo taglio di capelli (beata gioventù!). Sembrava una comparsa appena fuggita dal set di Oklahoma!
«Scusa» ha esordito con un’espressione di puro terrore. E poi... basta! Si è limitato a fissarmi, come se il tempo si fosse fermato. Dopo vari secondi ha detto di essere venuto a portarmi da scrivere, gli era parso che presto il tovagliolo non mi sarebbe più bastato, finchè poi – udite udite! – ha effettivamente evocato dal nulla un pezzo di carta. Quando si dice sfruttare a pieno le proprie risorse! Favorevolmente colpita da una mossa tanto ingegnosa, tra me e me gli ho subito affibbiato il soprannome di Signor Bravo Ragazzo. Poi, nel nome della scienza, me lo sono portato a casa.
Nel tragitto dal bar al letto i giovani esemplari di yuppie newyorkese tendono a mettere in atto una tra queste due strategie: o cominciano a limonare duro sul taxi, forse convinti di essere i protagonisti dello spot di un deodorante maschile, oppure ti tempestano di allusioni non proprio sottili su quanto sono bravi ed esperti, nella speranza di far passare la probabile cilecca o l’immancabile record del mondo di velocità alla stregua di meri incidenti di percorso. Il Signor Bravo Ragazzo ha optato invece per un approccio alternativo. Dopo la nostra decisione congiunta di andare piedi – oh notti estive! – per tutto il tragitto si è mantenuto a debita distanza, diciamo la larghezza di tre bidoni della spazzatura. E mi ha perfino rivolto le classiche domande da primo appuntamento: Come mi trovavo a New York? Quali erano le mie preferenze musicali? E il mio colore preferito? Ragazzo curioso! Una boccata d’aria fresca, vi assicuro. Poi siamo arrivati a casa mia.
Nell’atto di varcare la soglia dell’appartamento, il panico del Signor Bravo Ragazzo è divenuto palpabile. Pur consapevole che prima o poi qualcosa dovesse succedere, non sapeva però esattamente quando, come e con quale progressione prossemica. Se gli avessi fornito una tabella analitica, sono quasi certa che avrebbe apprezzato. Alla fine ci siamo spogliati – lui ha perfino provato a sbottonarmi la camicetta, ma ho ritenuto di potercela fare da sola, graziemilletesoro – ed è quindi cominciata la mia diretta esperienza della sua inesperienza. Bisogna ammettere che ce la metteva tutta, povero ragazzo. Suppongo fosse convinto di comportarsi da gran seduttore... un vero e proprio Casanova, come si suol dire. Invece nel complesso le sue manovre mi hanno ricordato la vecchia uscita del grande Walter Kirn a proposito dei dialoghi scritti da Aaron Sorkin: «il ritratto perfetto di come gli stupidi credono che conversino le persone intelligenti».
Invece di ascoltare i segnali del proprio corpo, il Signor Bravo Ragazzo agiva per dovere, sulla base di ciò che riteneva avrebbero fatto gli altri al posto suo.
In sostanza fare sesso con il Signor Bravo Ragazzo è stato un po’ come leggere la prosa ampollosa di una matricola di Lettere Moderne o – addirittura! – di un liceale poeta. Mentre spesso quegli atarassici alienati degli yuppie mi parcheggiano il grugno tra i seni con la stessa intensità emotiva con cui aggiungerebbero una bottiglia di whiskey alla loro collezione, il nostro eroe pareva prossimo all’estasi mistica. Chiunque di noi due fosse a stare sopra, la dinamica fondamentale è rimasta invariata: l’ossessività con cui cercava di guardami negli occhi era tale che a un certo punto ho dovuto chiuderli per non ridergli in faccia.
Tecnica? Discreta. I primi amplessi non sono quasi mai perfetti e devo ammettere che la sua resistenza mi ha sorpreso. Ma il vero campanello d’allarme è stata l’etichetta postcoitum. A seconda della chimica instauratasi, ovvero del mio desiderio di ripetere o meno il congiungimento, un partner può perfino essere esentato dall’obbligo di levare le tende, tuttavia per il secondo round bisogna sempre attendere la dama dalle dita rosate. Ebbene, il Signor Bravo Ragazzo è rimasto a fare la nanna ma poi, quando al mattino mi sono svegliata, non c’era più. Sparito! Senza nemmeno lasciarmi una tazza di caffè o un biglietto di ringraziamento per la bella serata (anche se non ti sei divertito, sono consuetudini da rispettare). Ciliegina sulla torta dello spregio, si è anche dimenticato la tavoletta alzata.
Quando deciderò di sistemarmi, se mai accadrà, non sposerò uno yuppie newyorkese. (Mi dispiace, cari gentiluomini: nel frattempo però continuate pure a chiamarmi). Il mio piccolo esperimento mi ha tuttavia impartito una lezione importante sui bravi ragazzi di Wall Street: per quanto arrapati e affamati, devono farsi ancora il loro buon migliaio di scopate prima di ambire a considerarsi uomini. Magari qualcuna di voi lettrici avrà modo di aiutarli in quest’impresa: in tal caso, vi prego vivamente di istruirli anche sulle buone maniere. I bigliettini di ringraziamento saranno pure obsoleti in quest’epoca digitalizzata, ma il galateo regnerà sempre immortale.
Carmen,
scusa se mi sono fatto avanti. Perdonami per aver accolto con gioia i primi segnali, autentici o meno, del tuo interesse per me. Chiedo venia per non averti trattato come una bambola di cartapesta durante la passeggiata verso casa tua. Stendiamo un velo pietoso anche sui baci troppo appassionati. Sono amaramente pentito della dolcezza con cui ti ho sfiorata. Con il cuore greve di rammarico mi trovo costretto a confessare che – lo vogliamo dire o non lo vogliamo dire? – mi sei saltata sul cazzo con le tette rimbalzanti e hai urlato «Scopami scopami ti prego scopami».
Testuali parole. Nell’articolo della settimana scorsa tu questo dettaglio però l’hai omesso.
A tutti i bravi ragazzi newyorkesi che hai insultato, lasciando intendere che se io non sono stato all’altezza delle tue aspettative allora siamo tutti degli esseri inutili: cari amici, sappiate che mi dispiace. Immagino che molti di voi a letto se la cavino meglio di me. Quindi io non vi rappresento. Vi ringrazio comunque per la compassione, se è tutto ciò che avete da offrirmi. Ammetto però che da parte vostra avrei preferito di gran lunga una reazione indignata. Dovete proprio spiegarmelo: cosa c’è di male nell’essere eccitati e nel mostrarlo senza vergogna? Quand’è che la gioia e la gratitudine sono diventate sentimenti indegni? Ed è per ragioni tanto futili che dobbiamo venire giudicati? E per di più da donne come Carmen, che si divertono a lanciare banconote da cento dai finestrini delle loro limousine e poi a guardare i poveracci che si accapigliano per afferrarle, tanto cosa sono per loro cento miseri dollari?
Io ho solo cercato di mostrarmi per quello che sono, inesperienza compresa. Ma le donne come Carmen odiano la sincerità. E se tu non accetti di farti schiavo di ogni loro più irrilevante desiderio e capriccio, ti puniranno per aver osato essere te stesso.
Non faccio l’offeso.
Ok, forse in certi momenti, mentre baciavo Carmen, era un po’ come se fossi ancora a letto con la mia ex. La famigerata memoria muscolare, no? Siamo stati assieme tanti anni. Quindi, di nuovo, non mi sembra di dover chiedere scusa a nessuno. Di solito, le persone normali hanno sempre almeno una storia importante alle spalle.
Insomma... Non sto affatto facendo l’offeso.
Ok, mettiamo pure che voglia fare un po’ l’offeso. Questa famosa Carmen, autoincoronatasi regina delle lenzuola, volete saperlo com’è davvero? Rigida, almeno all’inizio. Come se si aspettasse che fossi io a sobbarcarmi tutto il lavoro. Passano neanche due minuti e si mette a gridare. «Scopami scopami ti prego scopami!» come un disco rotto: passione zero. Sembrava il sergente istruttore di Full Metal Jacket. Neanche questo però ha scritto nell’articolo. Altro particolare: lei ha sostenuto di non avermi voluto guardare negli occhi. Falso. In realtà l’unico motivo per cui ho continuato a mantenere il contatto visivo – anzi, a “fissarla”, come dice lei – è che non ho mai smesso nemmeno per un istante di sentirmi le sue pupille spianate in faccia. E non mi è affatto dispiaciuto, per carità. Ma la verità è che non è dispiaciuto neanche a lei.
Carmen, non so cosa cerchi tu nella vita, ma per me è stata molto di più di una botta e via.
Concordo con te invece su un punto: sono davvero un bravo ragazzo. Come quasi tutti gli uomini, del resto. E di certo quando la sera entriamo in un bar non abbiamo la minima intenzione di fingerci i protagonisti di American Gladiators... né di fregare il prossimo o di passare per dèi del rimorchio. Cerchiamo solo di divertirci e speriamo di trovare una ragazza con cui condividere la nostra spensieratezza. A te però non importa nulla di goderti la vita. Dici che gli yuppie di cui parli tanto non ti fanno più né caldo né freddo, ma di sicuro non ti piacciono neanche i tipi normali come me. È un problema mio? No, è un problema tuo. Ma del resto, se avessi trovato quello che cerchi, non avresti più nulla da scrivere.